Emily Eden è una giovane detective della polizia di New York, apparentemente refrattaria a qualsiasi umana emozione. Le viene affidato il caso della sparizione di Yaakov Klausman, membro della comunità ebrea chassidica e di un'ingente quantità di diamanti. Per Emily il responsabile del furto, più che nello scomparso, è da ricercare tra gli altri membri della comunità; decide per questo, d'accordo con il Rabbino e con suo figlio Ariel, di mimetizzarsi vivendo con loro come una della famiglia. Ospite come lei del rabbino è anche un'altra ragazza, un'ex tossicodipendente. In questo modo riesce a rintracciare Klausman, morto, e a scoprire l'omicida. Ma, ciò che più conta, l'esperienza a stretto contatto con le tradizioni e la spiritualità della comunità che l'ha accolta avrà infine ragione del suo distacco e della sua freddezza umana. Dietro il pretesto poliziesco, Sidney Lumet affronta il tema attualissimo dell'incontro tra diverse culture, sottolineando come nel quadro metropolitano una tale diversità ci sfiora ogni giorno, nell'indifferenza generale. Il rischio legato a un simile tentativo era quello di cadere nella trappola del "pittoresco" a buon mercato; occorre riconoscere a Lumet di averla evitata, riuscendo invece a tratteggiare con sobria partecipazione un modello di comunità decisamente poco consueto. Soltanto nel finale torna a prevalere la logica di genere, con inseguimenti e sparatorie di rito.